Per Anna Maria Ortese, qualsiasi cosa tocchi con la parola, la materia si trasforma in quella ÂĢmateria indivisibile di cui parla la fisica nei suoi momenti di sognoÂģ. Come ogni vero scrittore fantastico la Ortese, probabilmente, non vorrebbe essere tale. Vorrebbe soltanto nominare la realtà che conosce. Ma la sua realtà è subito allagata da una piena di immagini, che la rendono multipla, variegata, senza fondo. ÂĢTutto era infinitamente piÚ grande, piÚ mutevole, piÚ bizzarro di quanto io potessi capireÂģ: questa sembra essere stata, sembra essere ancora, per lei, la sensazione primaria. In questo nuovo libro di racconti, il primo dopo lunghi anni di silenzio, ci troviamo da un capo allâaltro immersi in questa realtà seconda, spesso angosciosa, o minacciosa, ma anche talvolta attraversata da un trillo di incantevole comicità o da unâaerea ebbrezza. Oltre a quello narrativo, vi è poi un altro versante nella sua opera, che si mostra nelle ultime due, mirabili prose di questo libro. Come definirle? Meditazioni? Comunque, proprio in questa zona, nella conversazione immaginaria intitolata "Piccolo drago", incontriamo una autoconfessione che accende la lingua italiana di un pathos visionario quale raramente ha avuto lâoccasione di ospitare. Qui stillano come gocce infuocate le parole di qualcuno che puÃ˛ dire di sÊ: ÂĢlâinferno di questo secolo non mi fu ignoto nÊ estraneoÂģ. E qui la voce della Ortese, che altrimenti sussurra ÂĢin sonno e in vegliaÂģ, improvvisamente vibra di offesa eloquenza per difendere lâesistenza animale, che è anche la nostra esistenza animale, di quella parte di noi che appartiene ai ÂĢpopoli muti di questa terra, i popoli detti Senza Anima â dal Dittatore fornito di anima â e per di piÚ mortale! â che è il loro carnefice da sempreÂģ.