Economia dei sentimenti

Donzelli Editore
Llibre electrònic
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Sobre aquest llibre

È possibile una società armoniosa basata sulla libertà individuale, i cui appartenenti non siano già tutti saggi? Quale potrebbe essere l’origine di questa armonia? Ecco il nocciolo della questione che affrontò Adam Smith con le sue due opere, La ricchezza delle nazioni e la Teoria dei sentimenti morali, sopravvissute alla mummificazione degli storici grazie al dibattito che seppero suscitare. Oggi, però, il suo pensiero è ostaggio di un’ideologia che oblitera le sue domande e trasforma le sue battute in sentenze. Sottrarlo a letture avventate o volutamente parziali significa riprendere in mano i suoi testi, così tanto citati quanto poco letti. Egli è noto per aver focalizzato l’attenzione sulla produttività del lavoro, piuttosto che sull’oro o sulla produttività della terra, mediante l’astrazione del lavoro in quantità di tempo, sulla quale Marx costruì la sua teoria dello sfruttamento eclissando la questione della morale individuale. Attenzione poco gradita ai neoliberali, che si sono assunti l’onere di condurre Smith nel Terzo millennio, preferendo rappresentarlo come colui che ha mostrato la possibilità di un ordine sociale meccanicistico, basato sull’isolamento egoistico, e quindi di uno svincolamento dell’economia dalla morale. Ma è possibile leggere Smith attraverso Marx o fermarsi alla sua lettura? Siamo inoltre sicuri che Smith parlasse di individui egoisti? La Teoria dei sentimenti morali e La ricchezza delle nazioni sono realmente in contraddizione come si è lungamente sostenuto? Nel caso contrario, cosa potrebbe davvero significare? Il rapporto tra economia e morale non è chiuso ma fruttuosamente problematico: la possibilità di un accordo tra uomini nel pensiero di Smith ruota intorno a un equilibrio interiore, che ciascuno può guadagnare nel commercio dei sentimenti quotidiani e che costituisce il perno – anzi, i perni, per quanti sono gli uomini – di un equilibrio economico. C’è forse uno Smith tutto ancora da scoprire? C’è forse un abisso tra il liberalismo smithiano e la sua versione ipermoderna? L’ultima parola non spetta né a Marx né ai neoliberali, ma all’attento e libero lettore, che potrà giudicare cosa sia propriamente in gioco nel pensiero di Smith.

Sobre l'autor

Adam Smith (1723-1790), filosofo ed economista, è considerato il caposcuola della scienza economica classica. Formatosi a Glasgow e poi a Oxford, nel 1752 assunse la cattedra del suo maestro, Francis Hutcheson, a Glasgow e nel 1759 diede alle stampe il suo primo libro, la Teoria dei sentimenti morali. Dopo una rapida carriera, divenne vicerettore dell’università, incarico che abbandonò nel 1764, accettando un ingente vitalizio in cambio di un giro per l’Europa come precettore di un giovane duca. A Tolosa iniziò a scrivere il suo libro più noto, La ricchezza delle nazioni, pubblicato nel 1776. Fu poi a Ginevra, dove incontrò Voltaire, e a Parigi, dove frequentò i salotti del tempo e conobbe d’Alembert, Helvétius, Turgot e Quesnay. Dal 1778 fino alla morte fu commissario per le dogane della Scozia.

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